Rinnovo CCNL AF, come custodire il diritto di sciopero chiudendolo in un cassetto.

Il 20 marzo, con incredibile celerità, i sindacati confederali hanno proclamato per il 6 maggio uno sciopero per il rinnovo contrattuale, sorvolando bellamente tutto il mese di aprile. Evidentemente l’unica fretta che avevano era bloccare tutto il calendario e non far scioperare nessuno, perché il risultato alla fine è questo. E indovinate chi sta scioperando da più di un anno? Casualmente i macchinisti e capitreno organizzati nell’Assemblea Nazionale PDM/PDB, i manutentori infrastruttura anch’essi autorganizzati e altri settori. Tutti accumunati dall’impellente necessità di concreti miglioramenti su sicurezza, salute e salario. In più c’è in ballo il ko definitivo ai colleghi Mercitalia. Quindi provano a fare piazza pulita e prendersi il tempo per il solito teatro con l’azienda: i tira e molla, le accelerazioni, le richieste assurde aziendali che loro sventeranno lottando pancia a terra. Insomma provano a recuperare con il solito giochetto di passare per i salvatori della patria sperando che i lavoratori si comportino da bravi figuranti e stiano zitti. Il tutto mentre le privatizzazioni galoppano e le ristrutturazioni passano indisturbate nonostante la finta tregua di negoziato che ci vogliono far intendere. E lo fanno parlando di secondo livello che, in pratica, serve a tenere il CCNL AF abbastanza blando per gli appetiti produttivi di future e attuali concessioni e, appunto, privatizzazioni. Qualcuno ha detto Mercitalia? Rimangono i fatti: un rinnovo lungo più di un anno in cui i lavoratori hanno ampiamente dimostrato a questi notabili lontani anni luce dal lavoro cosa significa rivendicare, organizzare una vertenza e, soprattutto, scioperare. E non minacciare scioperi di 8 ore dopo un anno e mezzo di trattative, tanto per chiamare le cose con il loro nome. Rimane un rinnovo che, ormai è chiaro, l’azienda avrebbe voluto in un certo modo per assestare il colpo definitivo trovando però nei lavoratori un osso troppo duro per i suoi denti e ciò l’ha costretta ad attivare un intero apparato per provare a fermarli (precetti, commissione di garanzia di parte e minacce disciplinari). Ma soprattutto rimane un fatto incontestabile: salute, sicurezza e salario non sono negoziabili e solo continuando con la lotta dal basso si arriverà ad impedire che qualcuno li negozi sulla nostra pelle. Siamo qui, rimaniamoci!

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