DOCUMENTI: DOCUMENTO CUB TRASPORTI SU MOBILITAZIONE FERROVIERI FRANCESI E SITUAZIONE ITALIANA

LA MOBILITAZIONE DEI FERROVIERI FRANCESI
L’uomo immagine del liberismo in salsa francese, il rampante Macron, non demorde dal voler portare a termine il compito che gli è stato assegnato: demolire pezzo per pezzo le conquiste del lavoro omologando la Francia ai canoni del liberismo tanto caro ai potentati economici che lo hanno plasmato sospingendolo fino alla carica più influente di Francia. Dopo la Loi du Travail arriva l’ora delle ferrovie. Inconcepibile che sia ancora lo Stato a garantire la mobilità dei cittadini, inconcepibile l’esistenza di molte linee secondarie, inconcepibile che lo Statuto dei ferrovieri sia ancora in vigore tutelando un lavoro usurante, inconcepibile che esistano ancora tanti dipendenti della pubblica amministrazione. Non è retorica ma è il pensiero espresso nei decreti (proprio decreti per dimostrare ancor più l’arroga del potere) che Macron vuole approvare riformando le ferrovie francesi. I sindacati CGT, Unsa, Sud-Rail e CFDT hanno risposto con la programmazione di 13 settimane di sciopero cadenzato (due giorni a settimana) contrastando, seppur con diverse attitudini nel fronte della mobilitazione, un progetto di totale smantellamento dell’universalità del servizio ferroviario con l’apertura -liberalizzazione- del settore alle brame dei privati. Brame che si identificano con la deregulation contrattuale innanzitutto. La strumentalità del progetto, che ha ormai sfondato in quasi tutta Europa, è facilmente misurabile dai miseri slogan che lo accompagnano: l’efficienza del “privato”, la promessa di mirabolanti performance del servizio e compagnia cantante. Tutta roba che, è ormai storicamente accertato, nessuno ha mai visto in nessun angolo del vecchio continente. Semmai si è visto molto arretramento dei diritti dei lavoratori, contratti al ribasso e precarizzanti, società private che drenano sussidi statali e un servizio che di moderno ed efficiente ha solo il criterio del “se rende bene altrimenti si taglia”. Se è chiaro che lo scopo di Macron e dei suoi “padrini” è quello di guadagnare sulla precarietà del lavoro e sulle infrastrutture pagate dai cittadini, speriamo che altrettanto chiara sia la risposta dei lavoratori e dei cittadini francesi a questo attacco ai loro diritti.

..E IN ITALIA?
Non sappiamo come andrà a finire la mobilitazione dei ferrovieri francesi contro il progetto di liberalizzazione del settore ferroviario portato avanti dal governo Macron, difficile dire se avrà miglior fortuna rispetto alle mobilitazioni contro la Loi du Travaille. Tuttavia un punto centrale non può essere taciuto almeno nel rapporto fra quanto sta accadendo ora in Francia e quanto accaduto negli ultimi lustri in Italia. Accantonando le scadenze formalizzate dalla UE per la liberalizzazione del trasporto ferroviario, risalta forte una differenza centrale: la mobilitazione! Ciò che succede oltralpe, seppur con differenze metodologiche all’interno del fronte sindacale (una parte contraria nel merito ed una più sul metodo), mai ha avuto cittadinanza in Italia. Non ci è difficile raccontare come la liberalizzazione del settore ferroviario (e non solo) abbia marciato spedita e agile sui resti di un sindacalismo confederale talmente prono ai voleri padronali da diventarne addirittura il primo alfiere con un esercito di ascari pronti a spiegare ai lavoratori, invece di tutelarne gli interessi, le meraviglie della modernità e del mondo che cambia. Chi ha memoria storica non tarderà a ricordare operazioni di totale assenso allo smantellamento dell’intervento pubblico nelle ferrovie che, tuttora, rimane a mo’ di cappello protettivo di una deregulation che colpisce contratti, appalti ed il servizio stesso, ormai diventato l’apoteosi del classismo neoliberista. A partire dai primi due “pacchetti ferroviari” del 2001 e 2004 dedicati all’apertura del mercato del servizio merci, fino agli ultimi due del 2007 e 2016 il progetto è andato concretizzandosi ma, e qui si rileva la prima percurialità italiana, il recepimento dei vari stati membri è stato spesso eluso. In italia invece i governi, già dalla fine degli anni ‘80 succubi dei voleri dei potentati economico/politici europei impersonati dalla Commissione, hanno accelerato le operazioni addirittura oltre il terzo pacchetto aprendo anche il servizio passeggeri domestico ad ogni operatore certificato con un’espansione dello stesso dettato europeo.

I diktat degli interessi privati ed il totale schiacciamento di governi e sindacati confederali su di essi ha creato un modello di apertura al mercato seconda solo alla privatizzazione selvaggia operata in Inghilterra con i disastrosi risultati conosciuti in tema di sicurezza e sostenibilità. Se la Germania ha mantenuto all’interno dello Stato il controllo del trasporto ferroviario pur societarizzando i servizi ma mantenendo una forte unità, in Francia si è proceduto a rispettare la separazione fra gestore dell’infrastruttura e vettore ferroviario solo formalmente con la creazione di una società pubblica per la rete che, però, ha ceduto ogni potere in delega alle SNCF.
L’apertura del mercato in Italia ha creato una situazione in cui il servizio universale ha raggiunto livelli marginali e comunque sostenuto dello Stato e dalle Regioni depurando così dai costi i servizi profittevoli lasciandoli anche alle società private. Particolarmente nel servizio merci, molto appetito dagli interessi privati, la liberalizzazione ha ormai schiacciato il servizio “di Stato” per lasciare totale spazio a miriadi di società. Ovviamente i massimi benefici privati si dovevano raggiungere sia con l’ingresso sul mercato che sfruttando strumenti e possibilità di taglio dei diritti e dei costi generali del lavoro. Se una serie di leggi di precarizzazione e schiacciamento del lavoro hanno creato condizioni generali di favore, le aziende avevano bisogno di altri strumenti ben presto concordati con i sindacati confederali. Contratti di lavoro regressivi nelle condizioni di lavoro, una serie di accordi sindacali che hanno provocato tagli consistenti nell’esercizio ferroviario e l’esternalizzazione della gran parte delle lavorazioni lasciate in pasto a cooperative e società dedite al massimo sfruttamento della precarietà legislativamente creata.
Se in Francia si mette comunque in discussione un modello liberista che cerca di smantellare le garanzie (Statuto dei Ferrovieri) e tagliare migliaia di posti di lavoro, in Italia tutto ciò è avvenuto con l’assenso e, spesso, l’incoraggiamento delle cosiddette parti sociali perennemente all’opera, al netto di sterili comunicati, nel giustificare l’ineludibilità dell’operazione. Mai i lavoratori sono stati messi davanti alla realtà di un modello che voleva imporsi sui diritti dei lavoratori e sull’universalità della mobilità, anzi sono stati accompagnati dentro un vortice che ha restituito tutte le storture che abbiamo ricordato. L’ultimo esempio lo abbiamo conosciuto recentemente con l’acquisto, da parte di un ricco fondo statunitense, della società NTV, finora sostenuta con non poche agevolazioni “pubbliche” -spesso a carico dei lavoratori- e ora testa di ponte per interessi lontani da quelli italiani.
La garanzia di un servizio sociale di primaria importanza si è trasformata in una giungla deregolamentata dove, nonostante la propaganda confederale, prosperano precarietà, contratti al ribasso e risparmi anche sulla sicurezza. Inutile che la fonte normativa rimanga in mano pubblica quando è all’ordine del giorno l’aggiramento, l’interpretazione di comodo, la derubricata fonte normativa stessa sussidiata all’impresa, l’organizzazione del lavoro a bambola russa grazie al sistema elusivo delle esternalizzazioni, fino alla condiscendenza regolamentare in forza delle lobbie perennemente impiantate presso gli uffici di pubblica autorità ferroviaria. Gli incidenti ne sono postuma conferma. La risposta alla domanda che ci ponevamo nel titolo risiede proprio in questa diversità fra la presenza in Francia di una critica più o meno radicale dell’impostazione liberista del trasporto ferroviario e l’ipocrita accettazione in Italia dove la mobilitazione dei sindacati di base -che porta avanti questa critica- tende ad essere contrastata sia nelle pratiche gestionali aziendali che nella controinformazione confederale, fino all’ultimo stadio della repressione legislativa del diritto di sciopero. L’agitazione proclamata in Francia sarebbe impossibile per legge in Italia ove vigono franchigie e limitazioni di ogni tipo, spesso strumentali. Un altro attrezzo utilissimo allo scopo liberista per creare sfiducia nel mondo del lavoro e disgregazione. La mobilitazione dei ferrovieri francesi, seppur difficile, dovrebbe essere lo spunto per non perdersi nelle solite fasi di circostanza (“magari uno sciopero alla francese..”) ma riflettere sul cosa e chi ci ha portato a vivere una situazione in cui pochi hanno da guadagnarci e molti, utenti e lavoratori, da perderci.
CUB TRASPORTI

 

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