SCIOPERI, GENERALI E CAPITANI. Articolo estratto dall’ultimo numero di Cub Rail

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Lo sciopero è la più importante forma di lotta a disposizione dei lavoratori per dar voce alle loro rivendicazioni ed anche lo strumento più efficace contro il potere padronale; paradigma di democrazia nel sistema neoliberista, in quanto oppone le rivendicazioni dei tanti lavoratori, al potere economico dei pochi detentori del capitale.

Il primo sciopero della storia di cui abbiamo notizia si verificò intorno al 1150 a.C., nell’antico Egitto. Durante il regno di Ramses III, quando gli operai del villaggio di Deir el-Medinet, addetti alla costruzione dei templi di Tebe, incrociarono le braccia, al grido: “Siamo già al 18 del mese e abbiamo fame!” Il malcontento infatti era scoppiato per il ritardo della paga (effettuata allora in derrate alimentari) e incrociarono le braccia per alcuni giorni. Gli scioperi terminarono solo il Faraone cedette alle proteste, saldando il dovuto.

I primi scioperi generali risalgono però all’era moderna, con la “rivoluzione industriale” e la nascita dei sindacati, alla fine del ‘800.

In Italia le prime manifestazioni di protesta dei lavoratori per le misere condizioni di vita, iniziarono subito dopo l’unificazione del Paese, interessando sia le campagne del Sud sia le fabbriche del Nord; proteste duramente represse dalla autorità sabauda.

Il primo sciopero generale italiano è stato organizzato nel settembre 1904, promosso dai sindacalisti rivoluzionari guidati da Arturo Labriola e dal Partito Socialista Italiano di Filippo Turati; in un contesto caratterizzato dalla rivendicazione generalizzata di migliori condizioni di lavoro e salari più dignitosi, lo sciopero fu peraltro indetto a causa di due “eccidi operai”: quello di Buggerru, in Sardegna, nel Sulcis (bilancio 3 minatori morti e una ventina feriti), e quello di Castelluzzo (Trapani), costato la vita a due contadini (altri dieci rimasero feriti).

Lo sciopero causò la caduta del Governo Giolitti e la indizione di nuove elezioni che tuttavia portarono, come reazione, ad un Parlamento spostato su posizioni più conservatrici; segno evidente della difficoltà di ottenere obiettivi politici concreti tramite le lotte sindacali senza aver parallelamente costruito coscienza di classe e di massa.

La seconda grande ondata di sciopero del nostro paese, fu quella legata al biennio rosso del 1919-1920 con la occupazione delle fabbriche e grandi e i grandi scioperi nazionali di minatori e ferrovieri che si protrassero fino al 1921; queste proteste scossero le fondamenta economiche e politiche del Regno di Italia, dove per respingere la avanzata della classe operaia come nuovo soggetto sociale, la aristocrazia e la borghesia arruolarono i cani fascisti a guardia del potere, consegnando lo stato a Mussolini e innescando la vicenda più ignobile e incivile della storia italiana. Gli squadristi devastarono le sedi dei sindacati, picchiarono e uccisero gli attivisti intenzionati a resistere, come il ferroviere Spartaco Lavagnini.

Ne 1922 in seguito alla presa di potere del partito fascista i sindacati vennero soppressi, nel 1926 lo sciopero venne dichiarato un reato punibile e poi definitivamente vietato con il codice Rocco del 1930.

Non è casuale che proprio uno dei più grandi scioperi della nostra storia, quello generale dal 1 al 8 marzo del 1944, con una partecipazione determinante dei ferrovieri, segno l’attacco finale alla barbarie nazifascista e suggellò la vittoria della Resistenza italiana.

Infine lo sciopero fu regolamentato e riconosciuto come diritto, con l’entrate in vigore della Costituzione Repubblicana Antifascista (articolo 40), del 1947.

Un’ulteriore grande ondata di scioperi che deve essere ricordata è quella legata alle proteste del ‘68 che agitarono il paese, trovando una saldatura tra il movimento operaio e quello studentesco, con importanti conquiste in termini di sicurezza sul lavoro, salari, diritti e tutele per lavoratrici e lavoratori.

In seguito, dagli anni 70 fino ai giorni nostri, il potere borghese si è impegnato con efficacia nel domare i movimenti politici e sindacali che rappresentavano le istanze operaie; attività reazionaria che rapidamente ha trasformato aree di tradizione rivoluzionaria in soggetti prima riformisti, poi sempre più collusi con la dinamica del potere e oggi veri alfieri del sistema; si pensi in particolare a Cgil, Cisl e Uil, autori nella storia di grandi lotte operaie e oggi invece presenti (più o meno direttamente) in molti consigli di amministrazione delle grandi aziende del paese.

Infatti negli ultimi 40 anni gli scioperi generali proclamati dai sindacati confederali si contano sulle punte delle dita, nonostante la cancellazione di molti dei diritti conquistati nelle piazze e nelle fabbriche anche con il sangue, negli anni precedenti; vedi per citarne alcuni, lo Statuto dei Lavoratori, la Scala Mobile, il Diritto di Sciopero.

Invero nel 1990 con la legge 146, il diritto di sciopero, con buona pace di Cgil, Cgil, Cisl e Uil, è stato sostanzialmente affossato, attraverso la introduzione di regole che lo depotenziano in maniera sostanziale in tutti i settori essenziali (definizione sempre più estesa) e in particolare nei trasporti dove è anche difficile da proclamare; situazione appesantita dalle interpretazioni restrittive della legge, da parte della commissione governativa sul diritto di sciopero.

Nonostante questo con la nascita dei sindacati prima autonomi, poi di base, la conflittualità anche nei settori essenziali è finalmente ripresa, con la organizzazione di numerosi scioperi nazionali di settore, e scioperi generali. Per la ferrovia vanno ricordati gli scioperi organizzati dal Comu che hanno sostanzialmente migliorato le condizioni di lavoro dei settori bordo e macchina e a cascata di tutti i ferrovieri e negli ultimi 10 anni di quelli organizzati dal sindacalismo di base, soprattutto contro la privatizzazione, contro la legge Fornero e il deterioramento dei CCNL.

Va detto che oggi, in parte per le limitazioni di legge, in parte per il ruolo repressivo delle aziende e dei governi, in parte per l’atteggiamento remissivo e complice dei sindacati confederali, che purtroppo rappresentano ancora la maggior parte di lavoratrici e lavoratori, la partecipazione agli scioperi e difficilmente di massa e dunque limitata nella efficacia.

Peraltro il diritto allo sciopero è di fatto esercitabile solo nelle grandi aziende e solo dai lavoratori con contratto a tempo determinato; ne rimangono sostanzialmente esclusi una parte enorme di lavoratori, come i precari, i dipendenti di aziende artigiane o del piccolo commercio, le partite iva… per non parlare dei disoccupati.

Pertanto è da una parte necessario continuare a lottare per rivendicare la libertà di scioperare, contrastando i nuovi attacchi che padroni e sindacati collusi preparano contro il diritto di sciopero, dall’altra trovare strumenti nuovi di lotta politica e sindacale capaci di coinvolgere le categorie oggi escluse da questa fondamentale arma di dissenso e rivendicazione.

Il sindacalismo di base ha appena fatto un importante sciopero generale l’11 ottobre 2021, presentandosi unito contro la arroganza e le misure inique e padronali del Governo Draghi, coinvolgendo nello sciopero centinaia di migliaia di lavoratori e mobilitando piazze e  lotte in tutto il paese; uno dei tanti scioperi generali che abbiamo organizzato in questi anni; mentre Cgil, Cisl e Uil, insieme ad altre sigle concertative e corporative, trattavano, firmavano e svendevano!!

Peraltro il nostro impegno sindacale non avrebbe senso senza un prospettiva politica; non vi è lotta di classe senza coscienza di classe e non vi è lotta anti-sistemica senza mobilitazione di massa.  

Lavoreremo senza respiro per costruire e radicare una cultura, anche ideologica, utile a superare lo sfruttamento e le sperequazioni endemiche del neoliberismo, in favore di una società collettiva finalmente umana e di una prospettiva comune fondata sulla eguaglianza e sulla giustizia sociale.

Aprite gli occhi e alzate la testa, le prossime battaglie saranno anche le vostre.

Redazione Cub Rail, Gennaio 2022

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