100 ANNI FA L’UCCISIONE DEL FERROVIERE EMILIO CORAZZA A MILANO

Da Cub Rail in uscita ad aprile
Per celebrare il terzo anniversario della fondazione dei fasci, 30mila camicie nere guidate da Mussolini, sfilano indisturbate per le vie del centro con l’intento di dare un poderoso segnale di forza ed efficienza. Sono giunti dalla Lombardia, ma anche da Genova, Alessandria e Firenze. Per gli squadristi è una sorta di prova generale per l’occupazione di Milano”, senza che l’Alleanza del lavoro, composta da USI, CdL, UIL, SFI, avesse ritenuto opportuno promuovere una seria azione di lotta. Nessun incidente: i lavoratori milanesi, seguendone le indicazioni, non sono scesi nelle strade.

Gli urlatori, che indossano camicie nere, ricamate con teschi e pugnali,  insultano, minacciano, sbraitano. “Me ne frego”, “alla   bandiera   rossa   botte, botte in quantità”…  Alla stazione Centrale (la vecchia stazione Centrale, oggi piazza Repubblica) il duce saluta i gagliardetti col gesto degli antichi capitani romani. Tutto sembra finito, si torna a casa.

Ma alle 18, al passaggio a livello di via Canonica (tratto di linea urbano tra il Bivio Simonetta e lo scalo di Porta Sempione, che oggi non esiste più), alle grida dei fascisti della Lomellina, molti dei quali ubriachi, affacciati ai finestrini del treno speciale diretto a Mortara, alcuni ragazzi rispondono con gestacci. Freno d’emergenza, in trenta scendono dal treno e danno l’assalto al Circolo ricreativo dei ferrovieri della zona, situato a poche decine di metri. Tra pugni e randellate i ferrovieri presenti hanno la meglio e mettono in fuga i fascisti. Arrivano i rinforzi dal treno, stavolta sono più di cento, nel frattempo i ferrovieri sono riusciti a fuggire; i fascisti sfasciano tutto.

Uno dei ferrovieri protagonisti della rissa al Circolo è il 22enne Emilio Corazza, che abita nei paraggi, in via Cenisio al 54.

Il padre Luigi è macchinista, come uno dei fratelli, l’altro è operaio. La sera i familiari gli consigliano di non uscire, visto quanto è successo. Ma Emilio li rassicura, nonostante abbia la certezza di essere stato pedinato dai fascisti del quartiere dopo il fattaccio. D’altronde non è un militante politico, l’Emilio, è solo uno che, come tutti i ferrovieri coscienti e organizzati, ha la tessera dello SFI. 

Emilio entra in un bar in via Poliziano, ma poco dopo vi fanno irruzione una ventina di fascisti. Nasce una rissa furibonda con lui ed altri avventori antifascisti, ma l’obiettivo è proprio lui. Parte un colpo di pistola ed Emilio cade a terra, morto. I fascisti si dileguano.

L’Alleanza del lavoro si mobilita per le esequie del giovane. I lavoratori milanesi, sfidando le facili e spavalde minacce” fasciste, confluiscono a decine e decine di migliaia al corteo funebre. I comunisti, riunitisi nel piazzale Volta partecipano ai funerali di Corazza incolonnati a gruppi di circa 15 plotoni di uomini, cercando di contrapporre al fascismo la propria forza militarmente organizzata. Almeno 150 i vessilli, una folla immensa, un corteo lunghissimo accompagnano la bara del povero Emilio.

***

Milano, 30 aprile 1945

È buio, in via Poliziano; è in vigore il coprifuoco. I fari di un camion militare scortato dai partigiani della “Pasubio” illuminano il portone al civico 15. Un uomo e una donna vengono fatti scendere e messi al muro, proprio nel punto dove 33 anni prima era caduto il ferroviere Corazza. Non si tratta di due persone qualunque. Lui è Osvaldo Valenti, nato a Costantinopoli, figlio di un barone siciliano commerciante di tappeti; lei è la sua donna, Luisa Ferida (che in realtà si chiama Manfrini), sono due attori famosissimi. Valenti, che è anche cocainomane e contrabbandiere di valuta, si è arruolato nella X Mas e frequenta la famigerata Villa Triste, dove la Banda Koch tortura gli oppositori al regime. Lei probabilmente è estranea alle torture, ma in quei giorni non si va tanto per il sottile. 

Una raffica, e i due cadono crivellati di colpi. 

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